LEZIONE del 26 Gennaio

Fin dagli albori le scienze naturali hanno giocato un ruolo decisivo nello sviluppo della robotica la cui interdisciplinarità, oltre ad essere espressa dalla forte presenza della fisica e dell'ingegneria, è determinata dall'ispirazione biologica ed etologica. Specialmente quest'ultima costituisce un importante punto di riferimento per quanto riguarda cioè che rappresenta l'architettura di controllo del robot.

Infatti, sebbene i robot siano sempre stati ispirati al mondo animale, la necessità che tali artefatti superino la difficile verifica sperimentale di essere in grado di funzionare nel mondo reale, richiede che si ponga particolare attenzione nel progetto del "software di controllo" per superare con successo i vincoli che il mondo reale impone al robot stesso.

COMPORTAMENTI

Dunque, l'etologia ma anche la psicologia comportamentale, come base di ispirazione per il software del robot, meritano una certa attenzione per trovare in esse quei principi ispiratori che successivamente verranno analizzati indipendemente con lo strumento matematico delle scienze applicate.

LE BASI PSICOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO

Se ci mettiamo subito nella prospettiva psicologica che maggiormente interessa la robotica si vede che, oltre al tradizionale interesse per la mente, la psicologia si è occupata e si occupa anche di comportamenti. La psicofisica è stata la prima a trovare una relazione fra intensità dello stimolo e percezione. Weber e Fechner hanno sviluppato le leggi fisiche che descrivono la relazione fra intensità fisica dello stimolo e l'intensità come è percepita dall'osservatore.

Il comportamentismo fin dalla sua apparizione (1910) si pone come una disciplina psicologica che rifugge da "concetti mentalistici" come sensazione, percezione, immagine, pensiero, desiderio, proposito, emozione per proporre una definizione di comportamento basato solamente sull'osservazione (Watson, 1925).

I dati sperimentali, ottenuti osservando ciò che un organismo fa o dice, sono aggregati in termini di stimolo e risposta contribuendo così ad uno studio scientificamente oggettivo della mente grazie proprio all'abbandono dell'introspezione. Il progredire del comportamentismo (behaviorismo) rende la psicologia sempre più scientifica e meno filosofica, sociologica e teologica (Skinner, 1974).

La psicologia della Gestalt (Kohler, 1974) introduce esplicitamente la fisica nella tradizione psicofisica al comportamentismo che, a questo punto, si interessa molto di input sensoriale (è, comunque, predominante la visione) e di come si manifestano i comportamenti in relazione alla struttura dell'ambiente che interagisce con l'agente stesso. Il termine "gestalt" deriva dal tedesco e si riferisce alla forma o alla sagoma come attributo.

Comportamentismo e Gestalt mostrano, comunque, una certa diversità l'uno dall'altra in quanto il primo si è concentrato maggiormente sull'azione mentre la seconda si è focalizzata sulla percezione la quale viene ritenuta come principio organizzante che gli organismi possono usare a loro vantaggio.

Il punto di vista della psicologia ecologica si basa sulla richiesta di maggiore comprensione dell'ambiente in cui l'organismo è situato e di come l'evoluzione influisce sullo sviluppo (Gibson, 1979). Le radici della percezione nei comportamenti vengono spiegato introducendo la nozione di affordance: "gli ogetti sono percepiti in termini di opportunità che permettono (afford) ad un agente di agire". In definitiva, da questa posizione si può affermare che

"tutte le azioni sono diretta conseguenza della percezione sensoriale la quale è determinata dal continuo adattamento agli stimoli sensoriali disponibili per l'organismo situato nel mondo, dovuto all'evoluzione".

Infine, contemporaneamente all'avvento della computer science, compare la psicologia cognitiva che definisce la cognizione come l'attività del conoscere (Neisser, 1976) basata sull'acquisizione, l'organizzazione e l'uso dell'intelligenza, in accordo a quanto visto nelle lezioni precedenti.

LE BASI ETOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO

L'etologia è lo studio del comportamento animale nel proprio ambiente naturale (Lorenz e Tinbergen). Secondo questo punto di vista l'animale è uno dei componenti del sistema complessivo che deve necessariamente comprendere l'ambiente in cui l'animale si trova. Questa asserzione, come vedremo, ha un grande impatto per la robotica e permette di risolvere elegantemente una serie di problematiche che, altrimenti, non troverebbero una soluzione soddisfacente.

Secondo Tinbergen gli studi etologici dovevano focalizzarsi sulle quattro aree primarie del comportamento: causalità, sopravvivenza, sviluppo ed evoluzione. Tuttavia, è più comodo classificare i comportamenti animali approssimativamente nelle tre categorie seguenti (McFarland, 1981).

Nella classificazione precedente i comportamenti sono considerati secondo il paradigma base stimolo-risposta. Tuttavia, i comportamenti possono essere governati non solo da stimoli ambientali ma anche dallo stato interno dell'animale, nel qual caso si parla di comportamenti motivati.

Lorenz adottò anche la nozione di schema, successivamente chiamato meccanismo di risposta innato (innated realising mechanism), con lo scopo di catturare combinazioni complesse di riflessi, tassi e risposte stereotipate prodotte da una combinazione opportuna di stimoli. Uno stimolo significante è un particolare stimolo esterno il cui effetto è di produrre una ben specifica risposta stereotipizzata. Questo tipo di relazione stimolo-risposta è alla base di un altro meccanismo fondamentale per il controllo del comportamento animale. Esso prende il nome di stigmergia ed è ampiamente utilizzato nella regolazione dei comportamenti collettivi.

COMPORTAMENTI ROBOTICI

Come si è già detto anche il paradigma reattivo della robotica autonoma impiega i comportamenti come elementi base con cui realizzare il controllo complessivo del robot. Il modo più semplice per farlo è quello di adottare il punto di vista della psicologia comportamentale, secondo il quale ogni comportamento è la reazione ad un ben specificato stimolo. Si tenga presente, comunque, la seguente definizione.

"Un sistema robotico reattivo è caratterizzato da un forte accoppiamento percezione-azione, senza che intervenga nè una rappresentazione astratta dell'ambiente nè una storia temporale delle azioni eseguite".

Questo tipo di sistemi sono caratterizzati dai punti elencati di seguito.

La realizzazione di questo tipo di sistemi riflette anche una visione evoluzionista in quanto si inizia riconoscendo quali sono le limitazioni più profonde e più importanti imposte dall'ambiente. Si introducono, allora, i necessari comportamenti di base modellando le caratteristiche dell'ambiente (che rimangono nella testa del progettista) e poi si prosegue con nuovi comportamenti il cui scopo è quello di raffinare sempre più il comportamento complessivo del robot.

Naturalmente, il problema di rendere più adatto il funzionamento del robot all'interno di un dato ambiente per migliorarne le capacità ad eseguire il compito assegnato, si sposta dalla ricerca di un piano adatto allo scopo, seguendo i canoni dell'Intelligenza Artificiale classica, alla determinazione di un coordinamento possibile fra le singole abilità del robot affinchè la soluzione si presenti come proprietà emergente, seguendo i dettami delle architetture behaviour-based.

L'esempio che segue evidenzia la metodologia appena discussa nel caso del primo robot costruito col nuovo paradigma reattivo. La realizzazione del sistema di controllo è stata effettuata in Lisp, un linguaggio molto diffuso nell'ambiente A.I.

ESEMPIO DI NAVIGAZIONE

Il primo esempio di robot costruito impiegando il paradigma reattivo è dovuto a Brooks (1986) che realizzò nei laboratori del M.I.T. un prototipo di piattaforma mobile, che chiamò Allen, la quale era in grado di risolvere il compito di navigare da una posizione iniziale assegnata verso un target, distinguibile con una sorgente luminosa su di esso, muovendosi su una superficie piana disseminata di ostacoli fissi, la cui dislocazione gli era ignota.

In quegli anni il path-planning (così viene chiamato questo tipo di problema) veniva risolto con una tecnica generale basata sullo spazio delle configurazioni (Lozano-Perez) per cui la ricerca del cammino libero da collisioni veniva determinato analizzando le proprietà topologiche di tale spazio.

Con l'approccio behaviour-based, caratteristico del paradigma reattivo, si procede in modo bottom-up cercando di assegnare al robot un insieme di abilità (i comportamenti) utili al raggiungimento dello scopo prefissato.

Poichè il robot deve muoversi su una superficie disseminata da ostacoli, è necessario che il robot esibisca un comportamento di obstacle avoidance, per evitare le collisioni. La figura che appare di seguito schematizza tale comportamento con l'ausilio di tre stati (automa a stati finiti), raffigurati da tre colori.

Nello stato verde nessun ostacolo viene percepito e il robot può mantenere la direzione di avanzamento mentre nello stato giallo deve fare attenzione a non oltrepassare una certa distanza di sicurezza perchè, al di sotto di essa, finisce per trovarsi nello stato rosso di pericolo che costringe il robot a cambiare direzione per allontanarsi dall'ostacolo.

Il comportamento di anticollisione da solo non è in grado di portare il robot verso la posizione target così è necessario introdurre esplicitamente un comportamento di fototassi che spinga il robot nella direzione della sorgente luminosa posizionata al di sopra della posizione target.

Per evitare di cadere all'interno di particolari aree delimitate dalla presenza di ostacoli variamente posizionati è conveniente introdurre un ulteriore comportamento di wandering che viene attivato quando sembra che il robot rimanga intrappolato all'interno di una di esse. In realtà è sufficiente un generatore casuale che, attivato ad intervalli prestabiliti, determini un cambiamento nella direzione di avanzamento. Nella figura seguente è mostrato il risultato di due esperimenti per un robot analogo al robot Allen di Brooks.

In essi si vede chiaramente che il tipo di traiettoria generata non si basa sulla minimizzazione di alcuna funzione (distanza percorsa, numero di collisioni evitate, ecc...) caratterizzante la topologia dello spazio percorso, semplicemente perchè il robot non utilizza alcuna forma di rappresentazione dell'ambiente.

La traiettoria che copre il percorso dalla posizione iniziale a quella finale emerge come interazione dei tre comportamenti citati di anticollisione, fototassi e wandering grazie ad un meccanismo di attivazione su base prioritaria che stabilisce, in ogni istante, qual'è il comportamento sotto il controllo del quale il robot si deve muovere.